Saggezza popolare italiana e proverbi in dialetto sul vino
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Il vino ha sempre avuto un ruolo centrale nella cultura del nostro Paese. E così nell’Italia dei mille vini e dei mille dialetti, ci sono anche mille proverbi sul mondo del vino.
Quasi ovunque il vino è considerato un toccasana per l’umore: in Lombardia si dice cont el vin se cascia via la bolgira, ovvero “con il vino s’allontana la malinconia”.
In Piemonte, e non solo, sono convinti che faccia bene anche al corpo: dôi dij ed vin sôn an càoss al dôtôr e cioè “due dita di vino sono un calcio al dottore”. Affermazione confermata da studi clinici: un consumo moderato di vino durante i pasti previene tante malattie.
I liguri, concreti e pragmatici, rilevano che il vino può essere insidioso: o vin e-e donne fan giâ a testa che letteralmente significa “vino e donne fanno girare la testa”.
Stesso tema ripreso dai veneti: co ‘l cavelo tira el bianchin, lassa la dona e tiente al vin, cioè che a una certa età – quando i capelli si fanno bianchi – è meglio preferire il vino alle donne.
E che dire del rapporto tra fasi lunari e attività in cantina? Che si tratti di tradizione, credenza popolare o semplice consuetudine, anche in Valle d’Aosta il travaso del vino va sempre fatto con la luna nuova come recita il proverbio: fa transvazé lo vin a la leuna tendra.
Sempre a proposito di “momenti giusti” in Trentino-Alto Adige – come in molte altre regioni italiane – a San Martino si spillano le botti per il primo assaggio del vino nuovo: de San Martin se tasta el vin.
Il vino nel sasso e il popone nel terren grasso, dicono i contadini della Toscana, sottolineando che la vite ha bisogno di terreni “sassosi” mentre il melone (popone) necessita di terreni “grassi”, argillosi.
In numerosi detti ricorre la contrapposizione tra vino e acqua. In Friuli-Venezia Giulia ad esempio si dice cul vin si sta fra amîs, cu l’aghe si lave i pîs che vuol dire “con il vino si sta fra amici, con l’acqua si lavano i piedi”.
Così in Emilia-Romagna, dove pare ci sia una particolare avversione nei confronti dell’acqua, si dice l’aqua la fa mêl, e’ ven e’ fa cantê. ovvero “l’acqua fa male, il vino fa cantare”.
Anche nelle Marche si critica l’utilizzo “dissennato” dell’acqua: a chi mescia l’acqua al vin, fagh bev l’acqua giò nel tin!. Chi si azzarda a mescolare l’acqua al vino sarà costretto a bere l’acqua giù nel tino.
Dal Lazio arriva un consiglio divertente per chi proprio non è abituato a bere: se er vino nu lo reggi, l’uva magnatela a chicchi. Nella vicina Umbria si dice che lu vinu de lu fiascu, oggi è bonu, dimane è guastu, vale a dire che il vino va consumato giovane perché dall’oggi al domani potrebbe già essere cattivo. Insomma, un consiglio non certo per astemi.
In Calabria invece sono convinti che il vino buono debba invecchiare cento anni, mentre l’olio darebbe il meglio di sé dopo un solo anno: ogghiu i n’annu e vinu di cent’anni.
I siciliani tagliano sull’invecchiamento del vino, ricordandoci che ovu d`un`ura, pani d`un jornu e vinu d`un annu`un ficiru mai dannu ovvero “uovo di un’ora, pane di giornata e vino di un anno non hanno mai fatto male”.
L’antica usanza, diffusa in tutto il Centro Italia, di appendere le frasche alle porte delle osterie per indicare che il vino nuovo è pronto, in Abruzzo è sintetizzata dal detto lu vine ‘bbone se vênne senza frasche che significa che il vino buono si vende bene anche senza pubblicizzarlo.
Na tavula senza vino è comme ‘na jurnata senza sole – sentenziano i campani – che paragonano l’assenza del vino a tavola a una giornata nuvolosa e triste.
La saggezza popolare tramanda che il vino sarebbe indispensabile per gli anziani proprio come il latte materno per i neonati. In Molise, ad esempio, si dice u vine è a menne di vejecchie e cioè “il vino è la mammella dei vecchi”.
I rimedi della nonna abbondano nei proverbi e anche in Puglia, nel Salento si dice bivite lu mieru cautu ca te passa a tosse, cioè “bevete il vino caldo che fa passare la tosse”.
La mia carrellata su proverbi e vino volge al termine e mi piace citare un detto della mia Sardegna, in su binu sa veridade, che corrisponde al famoso detto latino in vino veritas. D’altronde il sardo non è un dialetto, bensì una lingua, di derivazione latina appunto.
Scusandomi di eventuali errori, omissioni o imprecisioni non poteva che finire a tarallucci e vino, che in Basilicata si dice finisc’a tarallucci e vinu.
E allora, prosit!