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Quattro ricette con il cinghiale dall’antipasto al dolce

Quando inizi a cucinare e vuoi preparare un piatto di carne, le cotture in umido, lente e tradizionali, sono sempre le più indulgenti. Cuocere alla perfezione un filetto può intimidire perché nel giro di pochi secondi è facile passare da una cottura ideale a una soletta troppo cotta. Con gli stufati e le cotture in umido, invece, non si corrono questi rischi. Basta armarsi di pazienza e cominciare per tempo: se ti distrai e lasci cuocere la carne per una decina di minuti in più di solito non succede nulla, anzi, ci guadagna in sapore. Il cinghiale, simbolo della cacciagione in Toscana, può essere preparato proprio così. Vediamo insieme alcune idee e ricette con il cinghiale.

La marinatura del cinghiale

C’è chi si raccomanda di non marinare più il cinghiale: ormai ha perso tanto di quel selvatico e del mito che prima lo rendeva un animale da racconti attorno al fuoco.

Tradizione vuole che si possa però aggiungere una noce intera al cinghiale in cottura, pare che contribuisca a assorbire quel poco di selvatico che è rimasto, rendendolo un piatto più gradevole anche per chi non ama la cacciagione.

Io, nonostante tutto, preferisco sempre marinarlo: da una parte non sempre hai modo di sapere che tipo di animale stai per cucinare, se era giovane o uno di quei grossi cinghiali con la carne coriacea, dall’altra la marinatura rende il cinghiale ancora più morbido e saporito.

Potete far marinare il cinghiale con tutti i suoi odori – carota, sedano, cipolla, rosmarino – per tutta la notte, e non dimenticatevi di alloro e ginepro, che sposano perfettamente il selvatico della carne.

Ricordatevi poi di riportare la carne del cinghiale a temperatura ambiente prima di cucinarlo, un accorgimento che andrebbe rispettato sempre.

Il cinghiale in umido

Cinghiale in umido
Cinghiale in umido

Il cinghiale in umido è forse il mio preferito, è quello che mia nonna ha sempre preparato per le grandi occasioni: Natale, per esempio, o una riunione di parenti con i suoi cugini preferiti. Seguo la sua preparazione che piano piano ho fatto mia. Il cinghiale va fatto marinare per una notte intera almeno, meglio per due giorni, se c’è tempo.

Si fa a pezzettini e si fa rosolare in un tegame – il suo sempre di coccio – con un battuto abbondante, si sfuma con un po’ della marinatura e si porta a cottura con i pelati. Una foglia di alloro e qualche bacca di ginepro sono fondamentali.

Come si serve? Con le pappardelle, con una polenta calda e cremosa, ma anche come secondo accompagnato da pane tostato, o crostini di polenta croccante.

Come ogni umido, il giorno successivo è ancora più buono.

Il cinghiale con le olive

Cinghiale con le olive
Cinghiale con le olive

Quando arriva la bella stagione, mi piace seguire le tracce di quei cartelli fosforescenti scritti con enormi caratteri neri, in stampatello. Annunciano l’inizio della stagione delle sagre, dei sabati sera passati con gli amici a provare i tortelli del Mugello conditi in mille modi diversi, o ad affrontare con caparbietà piatti colmi di salsicce e costoline di maiale. Uno dei piatti che va per la maggiore nelle sagre toscane è proprio il cinghiale, spesso preparato con cura dalle signore del luogo, ognuna gelosa delle sue tradizioni.

Qualche anno fa, a Pelago, ho assaggiato un cinghiale con le olive che mi ha fatto completamente ignorare tortelli, salsicce e pappardelle. Fu la star della serata. Ho provato subito dopo a rifare la ricetta. IN questo caso il cinghiale, una volta marinato, è rosolato con un battuto di odori e portato a cottura solo con il liquido della marinatura, senza pomodoro. Quando il cinghiale è quasi pronto, si aggiungono le olive nere denocciolate e poi si spegne e si fa riposare qualche ora.

Se dovesse essere il periodo della raccolta delle olive, c’è chi consiglia di usare direttamente quelle fresche e mature, che aggiungono una nota amarognola e invitante al cinghiale.

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Il cinghiale alla Maremmana

Cinghiale alla maremmana
Cinghiale alla maremmana

La Maremma è da sempre una zona di caccia e selvaggina, fin dal tempo degli Etruschi, che attiravano gli animali nelle reti suonando i doppi flauti. Il cinghiale poi è forse l’animale più rappresentativo, simbolo del Parco naturale della Maremma, l’Uccellina, un lembo di terra selvaggio e incontaminato con colline ricoperte di macchia mediterranea, zone umide, stagni, paludi e acquitrini, pinete, spiagge sabbiose, dune e scogliere.

Il cinghiale entra nelle leggende, animale mitico e di dimensioni sempre più grandi, che fa cresce di pari passo l’onore del cacciatore che è stato in grado di catturarlo.

Il cinghiale è anche il protagonista delle numerose sagre che in estate e in autunno accendono la Maremma interna e del litorale.

È impossibile trovare una ricetta che possa riassumere il modo di cucinare il cinghiale in Maremma, perché ogni paese, ogni famiglia, ogni, sagra, lo affronta in maniera diversa.

Dovendo selezionare una ricetta, sceglierei quella della signora Ilena di Capalbio, che mi insegnò a preparalo qualche anno fa. La polpa del cinghiale viene prima rosolata in olio, aglio, alloro, rosmarino e peperoncino. Dopo la rosolatura, si sfuma il cinghiale prima con l’aceto di vino rosso e poi con un bicchiere di vino. Si finisce poi la cottura con i pelati spezzettati e un po’ di acqua calda.

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Il cinghiale in dolce forte

La ricetta del dolce forte è una di quelle ricette contese tra Toscana e Francia. Furono i francesi a insegnarla ai toscani, o fu Caterina dei Medici a portarla alla corte parigina insieme alla carabaccia, all’amore per gli spinaci e alle forchette? Originariamente preparata con la lepre, oggi si prepara anche con il cinghiale.

La polpa di cinghiale è marinata come di consueto, poi viene rosolata nel tegame con olio, sale, pepe e un battuto di carota e cipolla. La cottura prosegue con parte del vino della marinatura.

Quasi alla fine della cottura del cinghiale, si aggiunge il dolce forte, una combinazione di uvetta, pinoli e cioccolato fondente, alla quale si unisce anche mezzo bicchiere di aceto con un cucchiaino di zucchero e un pizzico di pepe nero.

C’è chi aggiunge al dolce forte anche dei canditi di cedro tritati, chiodi di garofano e noce moscata. In alcune ricette si suggerisce anche di usare i cavallucci sbriciolati.

 

Tutte le foto sono di Giulia Scarpaleggia @julskitchen

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